Alias (Il Manifesto) (14 Feb 2004)

L'ultima volta che sono stati visti tutti assieme in un'occasione pubblica e di movimento è al Forum sociale europeo di Firenze.


Furono loro a dare il ritmo giusto a un appuntamento che rimarrà nella storia del movimento no global europeo, spostando l'attenzione dalle invettive di Oriana Fallaci e la cupezza dei monumenti impacchettati e dei negozi sigillati alla festosa allegria di decine di migliaia di persone arrivate nel capoluogo toscano per discutere di globalizzazione.

Se è andata in quel modo è anche grazie a loro, i "veterani" della Banda degli Ottoni a Scoppio come i più giovani Fiati Sprecati o i Suonatori Terra Terra, o ancora i francesi del Front Musical d'Intervention. Sabato scorso a Bologna, invece, a dare il ritmo alla rete di donne, gay, trans, medici e giuristi che protestavano contro la legge 147 sulla procreazione assistita c'era la Banda Roncati, nata con un'irruzione in un ex ospedale psichiatrico, stavolta dietro lo striscione "L'unica legge è quella del desiderio" e con un fiocco rosa annodato agli strumenti.

Bande musicali nel solco della più tradizionale tradizione bandistica, ma con una caratteristica fondamentale che le distingue da quelle appunto "tradizionali": quella di essere delle formazioni "aperte" seppure organizzate. Sul concetto di banda aperta, giurano, si potrebbe discutere per ore senza venirne a capo. Semplificando al massimo, vuol dire che chiunque ne abbia voglia può aggiungersi con un proprio strumento, che non esistono strutture chiuse e che in piazza ci si può ritrovare in dieci come in quaranta, a seconda dei casi, delle disponibilità o degli umori dei singoli componenti.

Con risultati a volte contraddittori, ma va bene così perché la perfezione andrebbe probabilmente a discapito di un modo di essere e di fare che è profondamente legato all'essenza libertaria e alle pratiche di autogestione e partecipative del movimento cosiddetto no global.

"Proviamo due volte alla settimana nel centro sociale ex Snia Viscosa di Roma, anche se siamo talmente poco seri da rasentare la cialtroneria e così possiamo ritrovarci in piazza in pochissimi o in tanti", sintetizza Marco Pelle, della Titubanda, un passato nella Banda degli Ottoni a Scoppio.

Come quasi tutte le bande, anche la Titubanda nasce tra la piazza e un centro sociale, "ci siamo ritrovati in strada quasi per caso il primo maggio del '98", è rigorosamente 'no oil' nel senso che mal sopporta la troppo inquinante musica sparata a tutto watt dai sound system montati su furgoni e camioncini e alimentati da generatori a benzina, e risponde all'esigenza di dare uno sfogo creativo alla protesta politica.

Anche se "noi non abbiamo pezzi veramente politici, fatta eccezione per Bella ciao e Anda jaleo, un pezzo della guerra civile spagnola. Per noi essere in piazza, è già un fatto molto forte".

Fin dalle sue prime apparizioni il movimento ha cercato un ritmo e dei colori per le sue diverse anime, divise in "gruppi di affinità" ognuno rispettoso dell'altro e con un unico obiettivo: sabotare o semplicemente disturbare i vertici dei potenti rinchiusi in supersorvegliate "zone rosse".

Dalle percussioni allegre e scanzonate che guidavano i pink, i rosa, all'assalto gioioso della zona rossa praghese, nell'ottobre 2000, ai tamburini del black bloc genovese che davano la carica per le "azioni dirette" contro banche e multinazionali, ai bonghi dell'ala più rasta. Perfino tra il sibilare dei proiettili di gomma della polizia a Barcellona, nel marzo 2002, ci fu una tromba che non cessò mai di suonare. Dietro ogni ritmo, una filosofia di azione, così come dietro i colori: il rosa dei pacifisti radicali che con la tattica della "frivolezza", musica, canti e balli, puntavano dritti alla zona rossa tra l'imbarazzo delle polizie che non sapevano come comportarsi.

II bianco dei disobbedienti che puntavano allo sfondamento simbolico con caschi e scudi in plexiglass; il nero dei più "duri" che andavano all'assalto con sanpietrini e molotov.

La repressione di Genova li renderà indistintamente rosso sangue. Spesso la musica svolge un ruolo di paciere, o magari riesce a sciogliere anche le situazioni più tese "Quando la gente vuole cominciare a tirare le pietre noi suoniamo più forte", racconta Ilaria della Malamurga, banda "atipica" parente stretta dei cacerolazos e delle murgas argentine che nel 2001 diedero il ritmo all'abbattimento del governo Duhalde.

Ma non sempre sono rose e fiori. Ad esempio, durante la recente manifestazione per la Palestina, "dove sfilavamo in coda, subito dopo alcuni ragazzi arrabbiati che inneggiavano all'Intifada, uno di loro ci ha detto 'ma cosa avete da ballare?' e io gli ho spiegato che abbiamo la stessa rabbia ma la esprimiamo in modi diversi".

Le lotte sociali che scoppiano nelle aree più diverse del pianeta e che alimentano il pensiero no global hanno poi contribuito ad aggiungere linfa e argomenti alla creatività di strada.

E così, al proliferare di bande di strada più "tradizionali" si sono aggiunti fenomeni nuovi. Come appunto quello delle murgas, colorate bande di percussionisti e ballerini.

"In Argentina ogni quartiere ha la sua murga, con propri colori identifìcativi. Ad esempio nella Boca sono quelli della squadra di calcio", spiega Matilde della Malamurga, anche lei di origini argentine. Giallo e blu, i colori del Boca Juniors e di Diego Armando Maradona. Forse è anche per questo che i murgheros italiani hanno scritto un piccolo testo teatrale intitolato "Tango, favelas y Maradona", anche se "noi, rispetto alle murgas argentine, non abbiamo una struttura chiusa". Nella capitale argentina, ogni murga ha un club che la rappresenta e molti degli elementi di festosità popolare e di protesta che si sentono negli stadi.

Ma qui in Italia sono stati ben attenti a non scegliere dei colori associabili ad alcuna squadra. Vale a dire l'arancione e il blu, abbinati a frac di raso colorato brillante perché, provenendo il tutto dal candombè, danza viscerale, impulsiva e liberatrice degli schiavi neri provenienti dall'Africa, l'unico modo per i poveri di crearsi una divisa era quello di utilizzare le fodere di raso dei vestiti. Una pratica, insomma, apparentemente innocua nelle forme tanto da "allettare le persone" anche meno impegnate per poi spiazzarle con la durezza dei contenuti.

Come è accaduto in un festival in Sardegna: "Eravamo in un contesto tra il sacro e il profano, e noi eravamo decisamente oltre il profano, per cui alla solita esibizione abbiamo agganciato uno spettacolo di critica sulla questione delle scorie nucleari, abbastanza diretto nei confronti del nostro amato Silvio".

E così "quando si sono trovati di fronte a uno spettacolo in cui i ballerini smettevano di ballare per dire delle cose, l'hanno presa come una truffa" e "ci hanno quasi accusato di non avergli raccontato prima come sarebbe stato lo spettacolo". Un inganno che si ripete sempre perché "la gente vede che la murga è una cosa molto allegra, colorata, d'impatto, che trascina, e ha l'idea che sia una cosa molto buonista".

"II nostro obiettivo è quello di coinvolgere la gente che è in corteo, che di solito non è propensa a farsi coinvolgere. Ci piacerebbe molto che tutta la gente che viene a fare i filmini spegnesse le telecamere e venisse a ballare con noi, perché la gente si è disabituata ad andare nelle manifestazioni in maniera attiva, e il nostro modo di stare in strada è rivolto a questo". Perché "arriva il momento in cui devi capire che c'è bisogno di tè come attivista e non come mediattivista, perché l'immagine mediatica non è poi così importante".

Mediattivisti no, disobbedienti neppure. "Il nostro è un modo di disobbedire diversamente, facendo casino. Ad esempio al corteo del 4 ottobre ora non ci andrei perché non mi è piaciuto come è finito. Però il nostro spezzone, dove c'era anche la Titubanda, era in allegria totale", dice Matilde.

Ma non ci sono solo la musica o i grandi eventi. C'è l'attività politica nel centro sociale di riferimento, ma anche il rapporto con il quartiere di provenienza o le lotte per gli immigrati o contro il carcere. La bolognese Banda Roncati, ad esempio, prende il suo nome proprio dall'irruzione nell'ospedale psichiatrico Roncati. O ancora ci sono i progetti concreti per aiutare, ad esempio, a costruire una scuola, magari nel quarto caracole, uno dei municipi autonomi creati dagli zapatisti in Chiapas, come sta facendo la Titubanda. "Ora ci stiamo organizzando per il carnevale al Pigneto", spiegano Malamurga e Titubanda.

Che, promettono, "sarà senza frontiere, riprendiamoci la strada e 'no oil', il primo carnevale senza carri a motore, con ciclocarri, musica dal vivo, maschere e biciclette".

Ma l'appuntamento in cui bande di tutta Europa, e pare anche dagli Stati Uniti, si ritroveranno insieme sara' la "Sbandata" di giugno a Bologna.