Carlotta Mismetti Capua: Il Venerd' di Repubblica (01 Gen 2003)

Noi sì che ve le cantiamo chiare (e alla guerra gliele suoniamo) Si chiamano "Titubanda", "Ottoni a Scoppio", "Fiati Sprecati"... Sono le bande dei centri sociali
e danno ritmo alla protesta.
Lotta politica? No, poetica


La loro banda suona, ma non il rock. C’erano alla manifestazione per la pace in piazza a Roma,ci sono ad ogni Primo Maggio. Credono che al posto delle parole si possa usare la musica; e forse fanno politica con le note. Per questo portano grancassa e tromboni alle manifestazioni, agli sgomberi, nei centri sociali, nelle piazze. Come le bande dei movimenti politici anarchici e socialisti d'inizio secolo suonano accanto agli operai, ma anche agli immigrati: "Vogliamo riportare la politica nella vita. dentro la quotidianità", spiega Luigi che suona la grancassa nella Titubanda, una gruppo musicale di protesta romano. "Quando siamo scesi in strada accanto agli immigrati che manifestavano davanti alla questura per il permesso di soggiorno abbiamo solo suonato, ma abbiamo portato allegria, calore. Alla fine la tensione è scesa. Anche il carabiniere - che prima ci guardava come pazzi - alla fine seguiva il ritmo". Le bande di lotta più importanti in Italia sono quattro: la Titubanda di Roma, gli Ottoni a scoppio di Milano, i Fiati Sprecati di Firenze e la Roncati di Bologna. Ma analoghi gruppi musicali, detti bande d'intervento sociale, esistono in Germania e in Francia. "Esprimono la protesta in termini di festa", spiega Sandro Portelli, docente di Letteratura anglo-americana all'Università La Sapienza e direttore del circolo di cultura popolare Gianni Bosio. "E in questo raccolgono l'eredità delle bande e dei cori dei movimenti operai. Si sta riscoprendo la banda come valore sociale, oltre che musicale: può essere usata per dire cose nuove, non solo per proporre la tradizione". Cose nuove che queste formazioni hanno detto alla manifestazione dei Migranti di gennaio, al Gay Pride, a Genova durante gli scontri e di nuovo per l’anniversario della morte di Carlo Giuliani. “Lotta dura senza paura? Gia’ suonare in strada lo e’. Ed in princiio la Titubanda ha cominciato cosi’… in strada”, racconta Claudio. “All’improvviso e senza motivo. Arrivava subito la polizia: qui voi non potete suonare. Ma come sarebbe no?”
La banda di lotta per statuto e’ presente alle manifestazioni di piazza, agli sgomberi delle case occupate, nelle feste dei centri sociali, il Primo Maggio, il 25 aprile. “Ma siamo andati a suonare anche nei centri di accoglienza di Ponte Galeria a Roma e in quelli pugliesi”, racconta Simone.

"Purtroppo o per fortuna ci ritroviamo a suonare spesso soli". Cinzia, suona la tromba: "noi non facciamo politica, partecipiamo ad eventi politici. Siamo attivisti a livello poetico. Io nella manifestazione con lo striscione non mi sono mai sentita a mio agio. Con la banda invece sono presente e ci metto della poesia".
La banda degli Ottoni è la più vecchia. Nacque nell'85 quando, durante un carnevale, un gruppo di musicisti si travestì da banda delle brigate internazionali, i giovani volontari che combatterono contro Franco nella guerra di Spagna. "Ci accorgemmo allora che la banda era un piccolo media, con il quale potevamo rendere visibile e rumoroso il nostro antagonismo" raccontano. "Entrare qui non è trendy", dicono ai nuovi arrivati. "Saranno levatacce davanti ai cancelli delle fabbriche, case occupate, piazze e sgomberi. Se cio’ vi stimola, siete benvenuti".


Nella banda le persone vanno e vengono. Le prove sono due volte la settimana nei centri sociali.
Con fiati e percussioni (ma la formazione è variabile),la banda al completo arriva a una quarantina di elementi. Il repertorio non è tradizionale: tra gli spartiti c'è il canto del fronte unito dei lavoratori del '33, “Bella Ciao”, ma anche “Nessuno mi puo’ giudicare” della Caselli. L'inno della Titubanda è “San Juanito”, pezzo popolare colombiano. Quello degli Ottoni è l'Internazionale, la cui esecuzione vale anche come prova di ammissione. La Roncati invece si presenta con “8 e 1/2” di Nino Rota,
un omaggio alle loro radici romagnole. Il resto varia: ci sono pezzi dai Balcani, canzoni popolari e di lotta, un po' di jazz e alcuni arrangiamenti di Kurt Weill. I principi politici sono pochi e ;hiari: "L'idea partigiana di schierarsi contro il mercato e la mercificazione artistica", si legge nel manifesto degli Ottoni. Una postilla chiarisce: "Fanno eccezione solo le piccole tournée per finanziarsi". La prima della Titubanda fu lo Zibibbo Tour in Sicilia: "suonavamo la mattina nei mercati; ci riempivano le cassette di frutta e verdura".

II cuore batte a sinistra, ma la banda è anarchica: "se tutti fanno la voce il pezzo è piatto", urla qualcuno durante le prove, "Che qualcuno faccia l'accompagnamcnto, porca miseria". Ma il "chi fa cosa" è lasciato al libero arbitrio. Il direttore non c’e’: qualcuno da’ il tempo all'inizio e chiude alla fine, gli assoli e i duetti si decidono con uno sguardo, qualche volta si sbanda, spesso si stona. Il refrain lo si canta dentro un megafono. Anche se lo spartito lo sanno leggere tutti, i professionisti sono pochini, la maggior parte sono dilettanti, e qualcuno non sa proprio suonare ma ci mette l'energia.
La banda ha un'anima anarchica in tutto quello che fa: prima di accettare di raccontare la loro storia ogni banda ha aperto una discussione interna. E ha votato. Negli ottoni di Milano hanno vinto i sì, ma alla fine hanno deciso di non farsi intervistare: "la maggioranza non era bul-gara", hanno spiegato.
A Roma il contrario: avrebbe vinto il no, ma la banda ha accettato. "Siamo un esperimento democratico", hanno detto. A parte l'ispirazione politica, ognuno la pensa a modo suo. "Certo ci sentiamo dentro il Movimento No-Global.
E non amiamo questo governo...".
Ma in fondo, come recita il manifesto della Timbanda: "scopo ultimo è quello di riuscire a fare un accordo di La minore ben intonato...".